Nota importante:
Quella che stai per leggere è un’intervista immaginaria. Non ho realmente intervistato Simon Scott: ho ricostruito questo dialogo come se mi sedessi con lui a parlare di ami, minuteria e montature, prendendo spunto dal suo stile, dalla sua esperienza e dal suo modo di vivere il carpfishing.
Valentino (Carpela):
Simon, andiamo dritti al sodo. Qual è stato il momento in cui ti si è “accesa la lampadina” sui tuoi rig?
Simon Scott:
Quando ho iniziato a usare i Korda Kamakura Wide Gape. Può sembrare la solita cosa da sponsor, ma non è così. Sono sempre stato maniaco della punta dell’amo: passo il tempo a provarla sulla pelle della mano, piena di micro punture a fine sessione.
A Burghfield ho perso più pesci di seguito usando ami che ritenevo buoni. Stesso terminale, stessa presentazione, stessa zona… eppure le carpe si liberavano prima della partenza. Lì ho capito che il problema non era il rig in sé, ma nella qualità della punta.
Avevo una scatolina bianca di prova di Kamakura nella tacklebox da mesi. Continuavo a rimandare il momento in cui avrei deciso di dargli fiducia, finché, dopo l’ennesima slamata, mi sono quasi imposto di provarli. Ho rifatto esattamente lo stesso rig che stavo usando, senza cambiare nulla nella montatura, se non l’amo: Kamakura montato su tutti e tre i terminali. Nelle 24 ore successive è stato puro caos controllato: partenze a ripetizione, combattimenti vicino agli ostacoli, pesci importanti in canna… e, questa volta, non ne ho perso uno.
In quel momento mi sono guardato dentro e mi sono detto: “Ma perché non li ho montati prima?”.
Da lì la decisione è stata automatica: ho chiamato Korda e ho chiesto una fornitura abbondante. Non aveva più senso tornare indietro. La forma wide gape, che ho sempre amato per come lavora in bocca alla carpa, abbinata a una punta mostruosamente affilata, ha cambiato il mio modo di fidarmi del rig quando appoggio il piombo sul fondo.
Valentino:
Se dovessi parlare a un carpista alle prime armi, quali sono le due cose che non devono mai mancare nella sua scatola della minuteria?
Simon Scott:
Per me le priorità, ancora oggi, sono sempre le stesse: prima di tutto un amo spaventosamente affilato, di quelli che ti fanno quasi timore quando li passi sulla pelle della mano; subito dopo, un hooklink forte e affidabile, che si tratti di nylon o trecciato, l’importante è che sia “serio”, che non ti tradisca nel momento clou.
Se la punta dell’amo entra dove deve entrare, e la tua lenza non cede, puoi anche tirare una carpa di 20kg praticamente “a mano”, se proprio sei costretto. Tutta la tua pesca, al netto delle mode, si gioca su quei pochi centimetri di terminale tra te e la carpa. Il resto (segnalatori, pod, gadget vari) viene dopo, è contorno. Se sbagli amo e finale, puoi avere il set-up più scenografico del lago, ma quando arriva il momento della verità, sei fottuto.

Valentino:
Raccontami nel dettaglio il rig che usi più spesso oggi.
Simon Scott:
I miei rig sono cambiati parecchio nel corso degli anni. Ho provato un po’ di tutto, ma oggi la base del mio rig è abbastanza definita. Utilizzo un trecciato coated semi-rigido: lo spello soltanto negli ultimi centimetri, in prossimità dell’amo, così da avere un tratto rigido che aiuta nella presentazione e un tratto più morbido vicino alla bocca della carpa, dove serve libertà di movimento.
Sul gambo dell’amo creo una estensione lunga in stile line-aligner, usando del tubetto termorestringente: non esagero, spesso mi basta mezzo tubetto, giusto quanto serve per ottenere quella curva dolce ma aggressiva che fa “girare” il rig in bocca al pesce. L’hair lo posiziono in modo che l’innesco stia a circa 5–10 millimetri dal gambo, una distanza che, in base a quello che ho visto in acqua, permette alla carpa di aspirare l’esca con naturalezza ma al tempo stesso rende più rapido il momento in cui l’amo inizia a lavorare.
Subito oltre la fine del tubicino, piazzo una bella pallina di pasta di tungsteno, a 5–10 millimetri, per dare peso nel punto giusto e far sì che il rig giri subito nella bocca della carpa quando questa prova a sputare.
Uso questa impostazione sia con bottom bait, sia con pop-up, cambiando solo qualche dettaglio come la lunghezza dell’hair, il punto in cui esce il filo rispetto alla curva dell’amo, piccoli aggiustamenti del peso. Però il concetto di base resta sempre lo stesso: è una montatura “old school” come filosofia, ma estremamente pulita e con una meccanica di rotazione che, a mio avviso, è davvero cattiva quando entra in gioco in bocca alla carpa.

Valentino:
Ora voglio fare la domanda da 1.000.000€. Nel mondo del carpfishing tutti cercano il “rig magico”. Esiste davvero?
Simon Scott:
No, un wonder rig non esiste. Negli anni ho visto carpe aspirare un’esca, pungersi chiaramente, scuotere la testa ed espellere tutto, e l’hanno fatto con Chod, Ronnie, Hinged Stiff e qualunque montatura fosse di moda in quel periodo.
La verità è che non è il nome del rig a fare la differenza. Conta avere un terminale da carpfishing meccanicamente corretto, studiato per ribaltarsi e lavorare bene in bocca alla carpa. Conta abbinare ami davvero affilati, senza compromessi. E, soprattutto, conta mettere questo insieme di cose dove i pesci si alimentano davvero, non solo dove a noi sembra “figo” calare il piombo.
Quando riesci a creare una situazione di feeding competitivo, con più pesci che entrano tutti insieme sullo stesso spot, diventa molto più difficile per loro analizzare con calma, aspirare, sputare, riprovare. Ma nei laghi pressati, con pochi pesci grossi che si alimentano piano e con attenzione, hanno tutto il tempo del mondo per “leggere” il tuo rig, accorgersi che qualcosa non torna… e andarsene come se niente fosse.

Valentino:
Te la senti di dare a chi ti sta leggendo un consiglio pratico che lo aiuti a sfruttare al massimo rig e minuteria, più a livello di strategia che di tecnica?
Simon Scott:
In tanti anni passati a guardare le carpe in laghetto e in acqua chiara, mi sono accorto di una cosa che si ripete continuamente: una quantità incredibile di mangiate arriva prima che il pesce entri sulla pastura piena.
Per questo motivo mi piace spesso pescare con un singolo innesco leggermente fuori dallo spot pasturato, lungo la traiettoria da cui so (o deduco) che i pesci stanno arrivando. Le carpe più "inesperte" entrano sul tappeto di boilies con l’idea di fare il “pieno” il più in fretta possibile, ma il pesce grosso e furbo, tante volte, si frega da solo proprio su quell’esca singola che incontra per prima sul tragitto.
È un approccio che richiede osservazione: devi leggere le scie, le bolle, i movimenti in superficie, capire la direzione di entrata in zona. Ma è, secondo me, uno degli utilizzi più intelligenti che puoi fare delle tue montature e di tutta la tua minuteria che esiste nel carpfishing. Non è solo questione di avere un rig “bello” quando lo guardi sul palmo della mano: è usare quell’insieme di dettagli in chiave tattica, nel punto giusto del lago, nel momento giusto.

Valentino:
Simon, grazie davvero per aver condiviso tutta questa esperienza. Sono dettagli che fanno la differenza, soprattutto per chi sta cercando di fare un salto di qualità con rig e minuteria.
Simon Scott:
Piacere mio. Se quello che ho imparato in anni di pesca può evitare a qualcuno qualche slamata di troppo e farlo fidare un po’ di più dei propri ami e dei propri rig, allora ne vale la pena. Alla fine siamo tutti sulla stessa barca: vogliamo solo capire meglio come ragionano le carpe… e prenderne qualcuna in più.
Vuoi testare nel tuo spot il terminare preferito da Simon? Ecco la lista della minuteria che ti aiuterà a costruirlo:
- Amo Kamakura Wide Gape [CLICCA QUI]
- Trecciato rivestito semi-rigido [CLICCA QUI]
- Tubicino lungo già piegato [CLICCA QUI]
- Pasta in tungsteno [CLICCA QUI]
Per qualsiasi dubbio sulla costruzione del terminale, scrivimi sulla mail hello@carpela.it
Alla prossima,
Valentino (super affilato) di Carpela


































































































